L’essere umano rappresenta il centro di un universo conosciuto, palpabile, essenziale più che esistenziale, fatto di deduzioni logiche e di scoperte necessarie alla sua sopravvivenza.
L’uomo è fonte di tutto ed è fonte di niente.
Ognuno di noi rappresenta il punto di incontro tra un mondo, quello conosciuto, che si modella a nostro piacimento e a seconda della nostra avidità, e di un altro mondo, quello della fede, al quale si rilegano le nostre speranze e il nostro destino.
Non vi è in questo mondo che una certezza,
la certezza che prima o poi tutto finisce, ed un attimo dopo, tutto ricomincia.
La vulnerabilità è lo stato che ci accomuna come esseri umano, ed è la stessa che determina il nostro modo di essere e di sentire.
Siamo vulnerabili perché siamo umani,
siamo umano perché siamo vulnerabili.
Ed è in questo che l’uomo ritrova l’essenza stessa della sua dipendenza da quei peccati che chiamavano “capitali” ma che noi chiamiamo semplicemente “umani”.
Cosa sono questi peccati? Il peccato per l’uomo rappresenta quella chiusura mentale che gli impedisce di vedere cosa c’è oltre, mentre lo plagia nel riconoscere una necessità nella materialità della vita.
Eppure,
il peccato avvicina l’uomo alla vita perché rappresenta “esperienza di vita” e l’esperienza di vita è necessaria per far si che l’uomo riconosca le differenze tra le sue scelte.
L’esperienza di peccato è indispensabile ed è inscritta nella vulnerabilità dell’uomo.
L’uomo pecca per imparare a vivere.
L’uomo vive di se stesso i un mondo che non riesce a controllare. Cammina ad occhi chiusi senza sapere dove andare.
Eppure,
l’uomo parte dalla sopravvivenza e attraverso l’esperienza scopre qualcosa che va oltre se stesso.
Attraverso i suoi peccati l’uomo scopre l’importanza della vita, e quest’ultima diviene una costante, iniziando a direzionare la sua strada, passo dopo passo.
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